Il cinque di picche diceva: “trasloco vicino”.
Le carte da gioco erano adagiate sul tavolo di fronte a lei.
Il cinque di picche diceva: “trasloco vicino”. Posto alla sua destra, il fante di cuori metteva in guardia dalle malattie improvvise: ve ne sono mai state di programmate?! La terza carta occhieggiava dal mazzo ed attendeva la sua interpretazione. Così la donna di fiori emerse dalla moltitudine in tutto il suo splendore portando con sé "una lunga strada".
- Le carte sono roba da vecchie- pensò e, serrando le labbra, ascoltò una strana storia di traslochi malaticci, di strade che fanno ammalare e di un considerevole numero di difficoltà: un numero talmente alto di impedimenti che avrebbe scoraggiato chiunque. Quindi lei decise di non ascoltare.
Aveva messo in una valigia poche cose, era partita senza avvertire, aveva preso un treno per una destinazione qualsiasi. E ora stava ad ascoltare una chiromante bambina che toglieva la carte da una vecchia scatola di stampe fotografiche, quasi fosse un oracolo contemporaneo. Serrò le labbra e pensò che avrebbe fatto finta di ascoltare, per non perdere coraggio e tornare. Pensò al mare, alla musica e alla danza, pensò che le carte avevano ragione e leggevano la sua sconfinata paura. Sorrise alla chiromante bambina e tacque ringraziandola con un cenno. Sorrise per dissimulare la sua paura. La paura di scendere dal treno e di buttare via il coraggio che l'aveva portata a fuggire senza guardarsi indietro.
Il treno ronzava chilometri, il mare scorreva a lato dei binari, tutto era fermo nella consapevolezza che il coraggio avrebbe potuto venir meno e tutto sarebbe potuto ricominciare. L'isola era vicina. Qualche ora di treno. La chiromante bambina la guardò soddisfatta, aveva obbedito alle carte, mentre lei resisteva alla paura di cedere alla tentazione di tornare sui suoi passi. Impossibile, nulla sarebbe più tornato come prima. Il treno ronzava chilometri insieme alle cicale.
Quell’oracolo improprio l’aveva resa inquieta, un pensiero, come un arabesco, si insinuava nella sua mente, mancavano poche ore all’arrivo e temeva di aver perso il coraggio per affrontare l’ultima parte del viaggio. Decise di appoggiare la testa contro il finestrino per riposarsi e raccogliere un po’ di coraggio. Un forte odore di vaniglia la fece trasalire da quel suo sonno sussultante, vicino a lei si era seduta una donna, anziana, piccola, ed un solo ingombrante bagaglio costituito da un altro un grosso fazzoletto chiuso nei quattro angoli e dal quale usciva quel profumo così stuzzicante. Era scura, la pelle abbronzata, tra i capelli neri solo qualche striatura bianca, la pelle piena di rughe grinzose, uno scuro fazzoletto in testa e due occhi piccoli, profondi e vigili che la guardavano con curiosità. “Lei è nuova, io mi siedo sempre al suo posto. Dove scende? Va a trovare i parenti?”
Ines aveva aperto un solo occhio, un po’ per difendersi, un po’ per curiosità, ma decise di prestarle attenzione. “Mi chiamo Ines, vengo da Spezia e devo arrivare a Piombino, scendo là.” “Allora ce ne sarà di strada ancora! Io mi siedo qui, scenderò a Livorno che è molto prima. C’hai gli occhi gialli della tristezza… Se viaggi con questo corredo, non andrai proprio lontano. La tristezza ci rende molli e vacui, toglie il senno ai savi, rende folli gli sprovveduti. Sei sicura che la bambina ti abbia letto le carte giuste?”
Così facendo estrasse dalla tasca del vestito scuro ed un po’ liso, un mazzo di carte piacentine e ne prese tre, ci soffiò sopra, le prese tra le mani, le nascose, le aprì, le mostrò, le richiuse e le disse di prenderne una. Ines estrasse il tre di coppe. La vecchina corrugò la fronte, osservò la carta, e le disse che avrebbe concluso il viaggio ma dopo tanto tempo.
Le si riempirono gli occhi di lacrime, Ines non voleva fermarsi tanto, desiderava consegnare i pacchi, chiudere la vicenda e non pensarci mai più. I singhiozzi la scuotevano facendola assomigliare ad un sacco vuoto… la vecchia megera la guardava con uno sguardo duro, infastidita dalla sua reazione. Ines si alzò di colpo, raccolse la sua roba, e corse fuori dallo scompartimento. Notò che il treno stava rallentando, era quasi fermo, così si lanciò fuori, aveva paura, voleva perdersi, perdere la memoria di un giuramento e perdere la lealtà…
Cadde scompostamente sulla massicciata, atterrando malamente sul bagaglio che aveva tenuto avanti a sé; nel frattempo il treno si era fermato, l’apertura improvvisa della porta esterna dello scompartimento non era passata inosservata ed il personale viaggiante vociava sempre più vicino. Ines si trascinò sino ad un canneto che lambiva la massicciata e vi si infilò camminando velocemente. Rimase impigliata tra canne e rovi, procedendo tra una caduta e l’altra.
Il treno si faceva lontano e con lui la chiromante bambina, la vecchia megera e quel terrore così assoluto che l’aveva fatta fuggire: il viaggio in treno non era stato una buona idea, i viaggiatori ciarlieri sono sempre una disgrazia.
Uscì dal canneto dopo aver disturbato chissà quale specie di anfibio o di rettile e mentre si guardava intorno sentì sulla pelle l’aria fresca e salmastra del mare. Di fronte a lei si apriva un campo appena falciato, disseminato di balle di fieno, chiuso, nel fondo, da una lunga teoria di pini marittimi.
Al di là dei pini si stendeva una linea azzurra di mare, forse, prima, una strada. Un casolare sonnecchiava, rossastro e malandato, appena nascosto dai pini, ma era talmente lontano che era impossibile stabilire se fosse abitato: non un segno o un rumore. “Andare avanti diritto, sino al mare” si ripeteva Ines, e cominciò a camminare sotto un sole implacabile che coi suoi dardi di fuoco le tormentava le spalle e le braccia scoperte.
“C’è una donna nel campo!”, “Si, dev’essere quella del treno! Chiama Giulio!”
In lontananza un uomo ed una donna si davano voce, stavano parlando di lei, così Ines iniziò a procedere spedita, caracollando a causa della sua grossa e pesante valigia, sino a che il caldo e la sete non le consentirono di procedere oltre e si sedette sulla valigia: un puntolino perso in un campo a fare i conti con i propri pensieri.
Fu così che intravide un trattore sgangherato che si avvicinava e decise di arrendersi e di attendere l’arrivo di quel mezzo improbabile e rumoroso.
“Ma cosa fa qui in mezzo? Cosa le è venuto in mente di saltar dal treno? La stazione è a pochi chilometri, avrebbe potuto aspettare… Lo sa che passerà dei guai?
Venga con me, salga”.
“La mia valigia è pesantissima, non riesco più a spostarla... ”
“La svuoti di ciò che non è necessario, tanto con quel salto dal treno, ci sarà ben poco di buono.”
Ines avvampò, non aveva considerato che saltando dal treno avrebbe potuto rovinare il contenuto dei pacchi e compromettere irrimediabilmente il suo viaggio. Con uno sforzo indicibile sollevò la valigia malconcia, sporca e ormai piena di tagli e la caricò sul vecchio trattore ringraziando con malagrazia il suo soccorritore.
Uno, due, tre, quattro...
Ines aveva riposato ospite del suo soccorritore, dormendo in un letto pulito per tutto il pomeriggio ed appena riuscì a svegliarsi il suo primo pensiero fu quello di aprire la valigia e di verificarne il contenuto, quello visibile e quello invisibile, i pacchi e la sua lealtà: quattro pacchi, quattro luoghi, quattro promesse, quattro persone, un solo viaggio.
- Le carte sono roba da vecchie- pensò e, serrando le labbra, ascoltò una strana storia di traslochi malaticci, di strade che fanno ammalare e di un considerevole numero di difficoltà: un numero talmente alto di impedimenti che avrebbe scoraggiato chiunque. Quindi lei decise di non ascoltare.
Aveva messo in una valigia poche cose, era partita senza avvertire, aveva preso un treno per una destinazione qualsiasi. E ora stava ad ascoltare una chiromante bambina che toglieva la carte da una vecchia scatola di stampe fotografiche, quasi fosse un oracolo contemporaneo. Serrò le labbra e pensò che avrebbe fatto finta di ascoltare, per non perdere coraggio e tornare. Pensò al mare, alla musica e alla danza, pensò che le carte avevano ragione e leggevano la sua sconfinata paura. Sorrise alla chiromante bambina e tacque ringraziandola con un cenno. Sorrise per dissimulare la sua paura. La paura di scendere dal treno e di buttare via il coraggio che l'aveva portata a fuggire senza guardarsi indietro.
Il treno ronzava chilometri, il mare scorreva a lato dei binari, tutto era fermo nella consapevolezza che il coraggio avrebbe potuto venir meno e tutto sarebbe potuto ricominciare. L'isola era vicina. Qualche ora di treno. La chiromante bambina la guardò soddisfatta, aveva obbedito alle carte, mentre lei resisteva alla paura di cedere alla tentazione di tornare sui suoi passi. Impossibile, nulla sarebbe più tornato come prima. Il treno ronzava chilometri insieme alle cicale.
Quell’oracolo improprio l’aveva resa inquieta, un pensiero, come un arabesco, si insinuava nella sua mente, mancavano poche ore all’arrivo e temeva di aver perso il coraggio per affrontare l’ultima parte del viaggio. Decise di appoggiare la testa contro il finestrino per riposarsi e raccogliere un po’ di coraggio. Un forte odore di vaniglia la fece trasalire da quel suo sonno sussultante, vicino a lei si era seduta una donna, anziana, piccola, ed un solo ingombrante bagaglio costituito da un altro un grosso fazzoletto chiuso nei quattro angoli e dal quale usciva quel profumo così stuzzicante. Era scura, la pelle abbronzata, tra i capelli neri solo qualche striatura bianca, la pelle piena di rughe grinzose, uno scuro fazzoletto in testa e due occhi piccoli, profondi e vigili che la guardavano con curiosità. “Lei è nuova, io mi siedo sempre al suo posto. Dove scende? Va a trovare i parenti?”
Ines aveva aperto un solo occhio, un po’ per difendersi, un po’ per curiosità, ma decise di prestarle attenzione. “Mi chiamo Ines, vengo da Spezia e devo arrivare a Piombino, scendo là.” “Allora ce ne sarà di strada ancora! Io mi siedo qui, scenderò a Livorno che è molto prima. C’hai gli occhi gialli della tristezza… Se viaggi con questo corredo, non andrai proprio lontano. La tristezza ci rende molli e vacui, toglie il senno ai savi, rende folli gli sprovveduti. Sei sicura che la bambina ti abbia letto le carte giuste?”
Così facendo estrasse dalla tasca del vestito scuro ed un po’ liso, un mazzo di carte piacentine e ne prese tre, ci soffiò sopra, le prese tra le mani, le nascose, le aprì, le mostrò, le richiuse e le disse di prenderne una. Ines estrasse il tre di coppe. La vecchina corrugò la fronte, osservò la carta, e le disse che avrebbe concluso il viaggio ma dopo tanto tempo.
Le si riempirono gli occhi di lacrime, Ines non voleva fermarsi tanto, desiderava consegnare i pacchi, chiudere la vicenda e non pensarci mai più. I singhiozzi la scuotevano facendola assomigliare ad un sacco vuoto… la vecchia megera la guardava con uno sguardo duro, infastidita dalla sua reazione. Ines si alzò di colpo, raccolse la sua roba, e corse fuori dallo scompartimento. Notò che il treno stava rallentando, era quasi fermo, così si lanciò fuori, aveva paura, voleva perdersi, perdere la memoria di un giuramento e perdere la lealtà…
Cadde scompostamente sulla massicciata, atterrando malamente sul bagaglio che aveva tenuto avanti a sé; nel frattempo il treno si era fermato, l’apertura improvvisa della porta esterna dello scompartimento non era passata inosservata ed il personale viaggiante vociava sempre più vicino. Ines si trascinò sino ad un canneto che lambiva la massicciata e vi si infilò camminando velocemente. Rimase impigliata tra canne e rovi, procedendo tra una caduta e l’altra.
Il treno si faceva lontano e con lui la chiromante bambina, la vecchia megera e quel terrore così assoluto che l’aveva fatta fuggire: il viaggio in treno non era stato una buona idea, i viaggiatori ciarlieri sono sempre una disgrazia.
Uscì dal canneto dopo aver disturbato chissà quale specie di anfibio o di rettile e mentre si guardava intorno sentì sulla pelle l’aria fresca e salmastra del mare. Di fronte a lei si apriva un campo appena falciato, disseminato di balle di fieno, chiuso, nel fondo, da una lunga teoria di pini marittimi.
Al di là dei pini si stendeva una linea azzurra di mare, forse, prima, una strada. Un casolare sonnecchiava, rossastro e malandato, appena nascosto dai pini, ma era talmente lontano che era impossibile stabilire se fosse abitato: non un segno o un rumore. “Andare avanti diritto, sino al mare” si ripeteva Ines, e cominciò a camminare sotto un sole implacabile che coi suoi dardi di fuoco le tormentava le spalle e le braccia scoperte.
“C’è una donna nel campo!”, “Si, dev’essere quella del treno! Chiama Giulio!”
In lontananza un uomo ed una donna si davano voce, stavano parlando di lei, così Ines iniziò a procedere spedita, caracollando a causa della sua grossa e pesante valigia, sino a che il caldo e la sete non le consentirono di procedere oltre e si sedette sulla valigia: un puntolino perso in un campo a fare i conti con i propri pensieri.
Fu così che intravide un trattore sgangherato che si avvicinava e decise di arrendersi e di attendere l’arrivo di quel mezzo improbabile e rumoroso.
“Ma cosa fa qui in mezzo? Cosa le è venuto in mente di saltar dal treno? La stazione è a pochi chilometri, avrebbe potuto aspettare… Lo sa che passerà dei guai?
Venga con me, salga”.
“La mia valigia è pesantissima, non riesco più a spostarla... ”
“La svuoti di ciò che non è necessario, tanto con quel salto dal treno, ci sarà ben poco di buono.”
Ines avvampò, non aveva considerato che saltando dal treno avrebbe potuto rovinare il contenuto dei pacchi e compromettere irrimediabilmente il suo viaggio. Con uno sforzo indicibile sollevò la valigia malconcia, sporca e ormai piena di tagli e la caricò sul vecchio trattore ringraziando con malagrazia il suo soccorritore.
Uno, due, tre, quattro...
Ines aveva riposato ospite del suo soccorritore, dormendo in un letto pulito per tutto il pomeriggio ed appena riuscì a svegliarsi il suo primo pensiero fu quello di aprire la valigia e di verificarne il contenuto, quello visibile e quello invisibile, i pacchi e la sua lealtà: quattro pacchi, quattro luoghi, quattro promesse, quattro persone, un solo viaggio.
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